456 è uno spettacolo scritto e diretto da Mattia Torre, conosciuto ai più per essere uno degli sceneggiatori di Boris, autore del programma TV Parla con me di Serena Dandini e co-sceneggiatore, insieme a Corrado Guzzanti, di Dov’è Mario? La serie TV di sky.
Uno spettacolo leggero e insieme asfissiante, che scaglia concetti importanti in un modo del tutto particolare.
La parola, deformata, ridicolizzata veicola i meccanismi malati della tradizione familiare, soprattutto quella del sud.
Ovidio, Mariaguglielma e Genesio sono i tre protagonisti. Rispettivamente padre, madre e figlio. Vivono in una vallata di un imprecisato sud, circondato dalla foresta, lontani da tutto e da tutti. Anche il tempo è indefinito, immobile. Solo lo squillo di un orologio a cucù ricorda il passare delle ore. Entrano in scena attraversando la platea, la testa bassa, i vestiti grigi e tristi. Sul palco, ad accoglierli, una pentola fumante, un vecchio tavolo di legno, un inginocchiatoio e un salame appeso al soffitto che oscilla in modo inquietante. Non serve molto a capire che non si sopportano, che sono costretti a vivere quella vita che sembra l’unica possibile. Ovidio è il capofamiglia che detta le regole e tiene a bada la moglie, Mariaguglielma subisce le imposizioni del marito e Genesio, il giovane figlio, sembra già vecchio.
Le premesse non sono dunque rassicuranti, ma in questo spettacolo si ride per tutto il tempo. La lingua inventata, un miscuglio di dialetti del sud, riesce a smorzare la cattiveria e l’egoismo dei rapporti familiari. I valori tradizionali, esasperati, diventano paradossi comici che non risultano mai banali.
Non si può sfuggire al presente. Gli attori restano sul palco anche quando non dovrebbero essere in scena. Una precisa scelta di regia, quella di non utilizzare le quinte, che contribuisce a rendere ancora più claustrofobica l’atmosfera.
Non c’è futuro, non c’è speranza. Quando il figlio, Genesio, prova a sfuggire da quella realtà e sperare in un futuro migliore per lui, andando a lavorare nella Capitale, viene subito redarguito dall’arretratezza culturale dei genitori: “fuori dalla valle solo pericolo e morte”.
Anche la religione è portata in causa. Una devozione fasulla in cui le preghiere sono specifiche richieste personali, finalizzate a esaudire piccoli e meschini desideri.
Ma è la morte la vera protagonista di questa pièce. È sul palco prima degli attori e trionferà alla fine. Il sugo perpetuo è quello della nonna morta quattro anni prima, ed è ancora lì, come in una teca; la madre recita al figlio una macabra ninnananna; la scelta di Genesio di smettere di fumare non è condivisa dalla famiglia “A che ti servono i polmoni?”. L’ospite (interpretato da Michele Nani), che la famiglia attende con ansia e a cui si prepara mettendo in scena una pantomima diretta dal capofamiglia, è un personaggio ambiguo. A lui il padre chiederà tre loculi lussuosi, in cui investiranno il “gruzzoletto” di tutta la vita.
“In questo paese l’unica cosa che ti puoi permettere è una degna sepoltura”.
Una critica feroce alla famiglia che si erge come nucleo fondamentale della società, ma che di fatto alla società è ostile. Alla famiglia che dovrebbe essere accogliente e generosa, ma che invece spesso si rivela gretta e individualista.
Gli attori muovono con abilità gli ingranaggi di questo spettacolo tragi-comico, riuscendo a far cogliere tutte le sfumature dei personaggi, le loro paure e i loro bisogni, gestendo bene i cambiamenti di ritmo e le situazioni comiche che il testo prevede.
Massimo De Lorenzo restituisce un padre-padrone disposto a tutto pur di raggiungere il suo scopo, ma che tradisce anche la paura e l’ansia di fallire, propria di certi uomini. Perfetto Carlo De Ruggieri nei panni del figlio. Curvo su se stesso col fisico e con le parole, ha reso bene l’implosione di rancore e di rabbia del giovane Genesio nei confronti della sua famiglia. Impeccabile Cristina Pellegrino, che con gli occhi da spiritata e una tempistica precisa, ricorda molte donne che, private di ogni dignità, si appigliano a qualsiasi cosa, per colmare un vuoto dell’anima.
Mattia Torre con questo testo non ha sfidato solo i benpensanti, tifosi della famiglia tout court, ma ha anche dato un ottimo esempio di scrittura teatrale che si completa e si arricchisce sul palco, con gli attori.
Scritto e diretto da Mattia Torre
Con Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri e Michele Nani
Scene Francesco Ghisu
Disegno luci Luca Barbati
Costumi Mimma Montorselli
Assistente alla regia Francesca Rocca
Assistente ai movimenti scenici Alberto Bellandi
Al Teatro Ambra Jovinelli fino al 12 febbraio