Ferdinando è, probabilmente, la più famosa pièce teatrale di Annibale Ruccello, vincitrice nel 1985 del Premio IDI come Miglior testo teatrale e l’anno successivo si aggiudica un secondo premio IDI, questa volta per la Miglior messinscena.
La storia è ambientata negli ultimi anni dell’800, dopo la capitolazione del regno borbonico e la successiva unificazione d’Italia. Donna Clotilde, baluardo della decadente nobiltà napoletana e restia all’inevitabile cambiamento sociale e culturale che l’unificazione comporta, si ritira in un palazzo di un non ben definito paese vesuviano, insieme alla cugina Gesualda, che di fatto tratta come serva. Le visite quotidiane del curato Don Catello la aggiornano sulle ultime novità. Dal suo letto, Donna Clotilda comanda, asserisce, minaccia, e alterna estenuanti lamentele a persuasive prese di posizione. Questa situazione di stasi, apparentemente immutabile, viene stravolta completamente dall’arrivo di Ferdinando, un giovane nipote a cui l’anziana nobile deve fare da tutrice.
Il dramma storico rappresentato dai quattro protagonisti, simboli dei diversi ceti sociali (nobiltà, clero, servitù e borghesia), sembra solo un pretesto utilizzato da Ruccello per affrontare temi a lui cari: l’importanza della parola, l’animo femminile (trattato anche il Notturno di donna con ospiti) e infine la conoscenza del passato, come unico strumento per capire e costruire il futuro.
Donna Clotilde si rifiuta di parlare in italiano, la lingua degli usurpatori, e costringe chi la circonda ad esprimersi in napoletano, lingua nobile al pari del latino. Eppure quando il giovane Ferdinando bussa al suo palazzo, l’anziana resta ammaliata dal suo parlare forbito e seducente. Ma la lingua di Ferdinando, così ricercata, è in realtà il mezzo ch’egli utilizza, insieme alla sua giovane bellezza, per circuire e ingannare le due donne e il prete.
Fino a che punto può spingersi una donna per amore? Quando tutte le difese e i freni inibitori cadono, le donne restano nude e fragili, alla mercé dell’amato, disposte a qualsiasi cosa pur di non perderlo. I malanni millantati da donna Clotilde, che la rendevano tutt’uno con il letto, spariscono miracolosamente, la repressione di Gesualda trova sfogo nel corpo del giovane e il segreto perverso di Don Catello si palesa senza vergogna. Il piano del giovane Ferdinando si attua senza intoppi e le ali posticce, che indossa per la recita della parrocchia, rivelano in realtà la sua vera natura di demone: “Angelo e diavolo spesso sono la stessa cosa”.
Le scene essenziali di Luigi Ferrigno evocano la condizione dei personaggi. Il letto, al centro della scena per tutto il primo tempo, è lo spazio limitatissimo che avviluppa letteralmente Donna Clotilde alla sua condizione di anziana malata e dimenticata dal mondo. Le corde collegate attraverso un sistema di carrucole penzolano dal soffitto e ricordano i cesti calati dai balconi che ancora si vedono in molti paesi del sud.
Gea Martire riversa tutta la sua napoletanità nel corpo e nella lingua di Donna Clotilde, restituendo tutte le sottili sfumature di una donna che ha vissuto a pieno la sua vita, ma che si ritrova prigioniera, per volontà o per necessità, della sua condizione di nobile decaduta prima e di amante ingannata poi. Geltrude ha il volto austero della bravissima Chiara Baffi, la parente-serva a cui è negata la femminilità. L’indegno ministro di Dio, Don Catello, è Fulvio Canteruccio e infine Francesco Roccasecca nella parte del bel Ferdinando.
La regia di Nadia Baldi è impeccabile. Dalla messinscena essenziale, e pure così significativa, al lavoro con gli attori, la regista ha restituito un Ferdinando contemporaneo in cui malinconia, comicità, solitudine e sensualità coesistono e si compenetrano.
I movimenti e le uscite di scena sono “teatrali” e inquietanti allo stesso tempo e contrastano nettamente con la recitazione e la scrittura, moderne e naturali. Probabilmente una scelta che mira ad un riscontro critico e consapevole del pubblico, sempre conscio di trovarsi davanti a una rappresentazione.
Un altro aspetto da sottolineare, perché inusuale a teatro, è l’erotismo. Senza cadere mai nel grottesco o nel ridicolo, le scene in cui i tre si concedono all’amante o vi si lasciano sedurre sono pregne di sessualità, giustamente quasi oscene. Aspetto quest’ultimo che non si vede spesso a teatro, anche in pièce dichiaratamente “erotiche”. Qui invece la sessualità, intesa come necessità e bisogno, si declina in molte forme. C’è l’erotismo di donna Clotilde, che deve al giovane Ferdinando la sua rinascita come donna. Significativo, a questo proposito, i tre cambi di abito (curati da Carlo Poggioli). L’erotismo rabbioso di Gesualda, che usa Ferdinando per soddisfare un bisogno fisico a cui non riesce a rinunciare, pur restando sempre insoddisfatta. E infine la sessualità sacrilega di Don Catello, che trova la pace nel peccato.
Al disfacimento inevitabile del vecchio mondo (e dei vecchi valori) si aggiunge la rassegnazione alla fine di un amore, di un mondo, che è rassegnazione alla vita, alla morte.
Un opera che mostra la modernità del passato, attraverso esistenze e intrecci universali e senza tempo. Un testo rappresentato da oltre trent’anni e una messinscena, quella pensata da Nadia Baldi, che riscontra un successo di pubblico sera dopo sera.
Ferdinando
drammaturgia di Annibale Ruccello
regia di Nadia Baldi
attori Gea Martire (Donna Clotilde), Chiara Baffi (Gesualda), Fulvio Cauteruccio (Don Catello), Francesco Roccasecca (Ferdinando)
scene di Luigi Ferrigno
costumi di Carlo Poggioli
produzione Teatro Segreto
Al teatro Piccolo Eliseo dal 18.10 al 05.11