L’eclettica Lina Sastri, attrice e artista di spicco del panorama italiano, approda al teatro Quirino di Roma con lo spettacolo La Lupa, in scena dal 17 al 29 novembre. Eduardo De Filippo, Giuseppe Patroni Griffi, Armando Pugliese, Francesco Rosi, Giuseppe Tornatore, Antonio Calenda, Emanuela Giordano, sono solo alcuni dei registi con cui ha lavorato per il teatro. Lina Sastri, però, non è solo attrice, ma anche una cantante passionale. Alla musica ci arriva per caso, cantando Assaje di Pino Daniele, colonna sonora del film Mi manda Picone con cui vinse due David di Donatello come migliore attrice protagonista. Negli ultimi anni ha portato in scena in tutto il mondo Spettacoli Musicali, con un modo di fare teatro tutto suo, intrecciando parola, danza e musica, confermando così la sua poliedricità.
Ora la vedremo nei panni di una delle donne più feroci e controverse di Verga, Gnà Pina, la Lupa, nell’adattamento di Micaela Milano, con la regia di Guglielmo Ferro.
Nel 1965 Anna Magnani porta in scena la Lupa proprio al teatro Quirino con la regia di Zeffirelli, si sente legata a questa artista?
È stata presente nella mia vita di artista. La prima volta che ho cantato in pubblico è stata in una manifestazione a Cinecittà per il trentennale della sua morte in cui io ho sostituito qualcuno. Non ero stata invitata perché non ero assolutamente famosa, ero una ragazzina e ho cantato per la prima volta Reginella, poi ho interpretato Anna Magnani nel film di Lizzani, Celluloide, ma questo è tutto.
Alla fine dell’800 una donna che vive un amore peccaminoso per un uomo più giovane faceva scalpore. Cosa ha di ancora così potente quest’opera e perché è ancora attuale dopo oltre cent’anni?
Secondo me è attuale perché racconta di una donna libera, vedova, che ha cresciuto da sola una figlia e che si trova al centro di una solitudine grande. È una donna libera che paga la sua libertà con il pregiudizio del mondo sociale che la circonda. Questo allora come adesso. Una donna coraggiosa che, aldilà delle regole della società, offre il suo grande amore, la sua grande passione per quest’uomo, offrendogli sua figlia in moglie, la sua terra, la sua casa, tutto quello che ha. Quando poi, esclusa da tutto si ritrova abbandonata, sola e non ha più niente da perdere gli offre anche, fino a provocarlo e facendosi ammazzare, la sua vita. Io credo che questo sia un dramma eterno. Una figura diversa perché non consueta. Aldilà di quello che è stato sempre detto della Lupa, Gnà Pina è semplicemente una donna preda di una grande passione, libera, spregiudicata e quindi in questo senso oggetto di giudizio da parte del mondo.
Abbiamo bisogno di più lupe, intendendo con questo donne che rincorrono le proprie passioni senza preoccuparsi delle conseguenze?
Non ne abbiamo bisogno, ma esistono queste possibilità. Qualsiasi individuo maschile o femminile che in qualsiasi società esprime la propria libertà sia come in questo caso con la passione, sia con intelligenza e creatività, o con un comportamento aldilà delle regole, paga con la libertà.
Quali sono state le difficoltà di mettere in scena un testo così impegnativo e corale?
La compagnia è bellissima. Giuseppe Zeno, l’attore che interpreta l’oggetto della passione di Gnà Pina, è molto bravo così come gli attori giovani e meno giovani che fanno parte di questa compagnia. La regia di Guglielmo Ferro è una regia che non ha voluto la tradizione. Un campo di grano per gli esterni e il solo palcoscenico per gli interni. Non è tradizionale la scenografia, ma non lo sono neppure i costumi, essenziali, come da direzione della regia. Tutti noi entriamo in questa direzione. Non è come un mio Recital, in cui sono io che dirigo e decido. Qui io entro in un disegno e cerco, nelle mie possibilità, di rispettarlo.
E lei che approccio ha avuto con il personaggio della Lupa?
Io come attrice, come anima, non mi sono curata di quello che è sempre stata la Lupa nei classici teatrali. Non ho pensato alla trasposizione cinematografica con la Guerritore o alla Lupa teatrale della grandissima Magnani, con la regia di Zeffirelli nel ’65. Non ci sono, non esistono né devono esistere dei paragoni. Io umilmente entro in questo disegno che mi dà la possibilità di interpretare un personaggio difficile, perché ha luci ed ombre. Vive la competizione femminile con la figlia, ha l’anima di carnefice, ma anche quella di vittima che si rende conto e soffre molto la sua inquietudine, la sua solitudine. Come lei stessa dice: “io non ho fatto male a nessuno, l’ho fatto solo a me stessa, al mio cuore che non conosce che tormento”. Dunque questa è Pina, un personaggio come tanti che negli anni ho affrontato. È una donna diversa, della quale vorrei rendere l’anima piuttosto che la facile seduzione o l’eros dissennato. C’è passione e c’è anche tragedia in questa storia.
Il teatro, il cinema, la canzone hanno per lei sempre significato libertà, mi spiega meglio?
L’espressione dell’arte, per quanto mi riguarda, sono stati sin dall’inizio, quando fuggii di casa per fare l’attrice, la possibilità di vivere liberamente le emozioni, i sentimenti, cosa che invece nella vita non è sempre possibile. In questo senso l’arte, nelle sue espressioni, è stata sempre sinonimo di libertà. Sono stata donata dal cielo di talenti, di possibilità di esprimere o di comunicare, quando ci riesco, perché non sempre ci riesco, le emozioni con la parola e con la musica. A volte anche con il corpo, per me è molto importante. La libertà la trovo spesso più in palcoscenico che nella vita.
Come si può essere liberi nei panni di un altro?
Non saprei neanche come spiegarlo. La libertà è soprattutto nella musica perché quando si canta non si è nei panni di qualcun altro, si è sé stessi. Io poi quello che ho realizzato in musica l’ho fatto con le mie idee, con la mia regia, con i miei arrangiamenti e quindi in questo senso molto liberamente.
Quando interpreto un altro personaggio, quel personaggio passa attraverso me. Attraverso quello che sono, le mie braccia, le mie gambe, la mia voce. Attraverso quel personaggio esprimo quella parte di me. È una forma assolutamente inconscia, molto profonda e molto intima di espressione.
I suoi spettacoli la portano in giro per l’Italia. Sa dirmi qual è la salute del teatro italiano e se Roma ancora può vantarsi di essere anche una città culturale e aperta alla cultura?
Roma vanta una grande varietà di spettacoli. Ci sono molti festival internazionali ed europei e quindi c’è una grande possibilità, con tutte le specificità dei teatri. Dai musical alla prosa, dalla danza alle espressioni più di nicchia fino a quelli più commerciali. In generale la salute del teatro non è cattiva. Con le possibilità mediatica di tutti i tipi dove tutto è possibile, la comunicazione non è più diretta. Il teatro dà quella presenza fisica e reale che comunicano un sentimento di pianto o di riso che è emozionante anche per un giovane. Certo un giovane deve essere abituato ad andare al teatro da piccolo, altrimenti il pubblico rimane un pubblico di anziani. Nel nostro paese non è come in Francia o in Russia dove il teatro fa parte della vita. Ma mi sembra che ci sia un interessa dei giovani nei confronti del mistero di una persona viva, vera, che sta lì proprio veramente e, se ci riesce, ci fa emozionare. Però non dipende soltanto dagli artisti, ma anche da maestranze e produttori, che devono essere agevolati dallo Stato. Poi il teatro è un azienda, un impresa, si compra, si vende e ha una sua economia.