Thomas Bernhard scrisse nel 1976 Minetti. Ritratto di un artista da vecchio per un attore di cui aveva immensa stima: Bernhard Minetti. Un legame già scritto nel cognome di uno e nel nome dell’altro. Lo spettacolo va in scena per la prima volta al Württembergischer Staatstheater di Stoccarda con la regia di Claus Peymann. Minetti è considerato il più grande attore tedesco del secondo dopoguerra, ma in questa pièce il rapporto autore-attore è di distruzione reciproca: “l’attore si accosta allo scrittore. E lo scrittore distrugge l’attore. Esattamente come l’attore distrugge lo scrittore”.
Probabilmente l’unico attore italiano che poteva interpretare Minetti è proprio Roberto Herlitzka. “ Se finalmente mi sono deciso a mettere in scena questa pièce lo devo a Roberto Herlitzka, uno dei grandi interpreti del nostro tempo, tra i più congeniali al suo umore”, spiega il regista Roberto Andò.
All’apertura del sipario del Teatro Argentina, l’elegante scenografia di Gianni Carluccio (che ha curato anche le impeccabili luci) identifica chiaramente lo spazio in cui ci troviamo: la hall di un albergo che un tempo doveva esser stato molto in voga, ma che ora è chiaramente démodé. È il giorno di San Silvestro di un anno imprecisato. Un ascensore a vista, la reception in legno, quattro poltrone sistemate alla rinfusa, un pianoforte a muro e due grandi finestroni sullo sfondo. Minetti entra, curvo, stretto nel suo lungo cappotto, quasi a chiedere riparo dalla tormenta di neve che c’è fuori. “Com’è cambiato” è la sua prima battuta. Minetti conosceva bene quella hall, ci era stato trentadue anni prima. Ora è tornato per recitare l’ultima volta, dopo trentadue anni: il direttore del Teatro di Flensburg lo vuole per il Lear. Ma del direttore non c’è traccia. L’albergo diventa allora lo spazio dei ricordi e dell’attesa in cui il vecchio attore riversa tutte le sue ossessioni in un lungo flusso di coscienza.
Minetti si nega alla letteratura classica, ma di fatto deve recitare un grande classico.
Tra l’opera di Shakespeare e quella di Bernhard si possono riscontrare dei parallelismi. La tempesta, innanzitutto, ma anche la follia, la forza della passione, l’anarchia. L’opera di Shakespeare rappresenta la letteratura classica, quello da cui Minetti dichiara di fuggire, ma diventa il pretesto per scagliarsi contro il pubblico, la società, il teatro.
Quella di Minetti è una crociata contro la società contemporanea, l’omologazione di pensiero, l’appiattimento delle idee, è una lotta contro il pubblico. L’attore non ha più il potere catartico, né la volontà di mettere/si in crisi: nel presente tutto è ridotto a mero intrattenimento.
Minetti non vuole solo recitare il Re Lear, ma vuole farlo indossando la maschera di Ensor, un pittore della seconda metà dell ‘800, feroce critico della società del suo tempo. Quella di Minetti è “la maschera più orrenda che sia stata fatta”, e non a caso gli appartiene, perché “il pubblico deve essere terrificato dall’attore”. Il ghigno beffardo raffigurato è quello che Minetti offre a chi lo guarda. Paradossalmente con la maschera, simbolo per eccellenza del teatro, l’attore rivela il suo vero volto.
La donna in rosso (Roberta Sferzi), la ragazza in minigonna (Verdiana Costanzo), il nano (Matteo Francomano), il personale dell’albergo (Vincenzo Pasquariello) si muovono silenziosi con il volto ricoperto da maschere. Sbeffeggiano l’attore, lo deridono per poi sparire tra le note profonde di un pianoforte.
Uno spettacolo che ha tanto da dire per chi vuole ascoltare. Herlitzka è indubbiamente un grande interprete e riesce a condurci nella folle lucidità del personaggio scritto da Bernhard. Probabilmente non è solo l’attore più congeniale, ma anche il più vicino al personaggio-attore che interpreta.
Nel corso di questo lungo monologo in cui Minetti-Herlitzka si impossessano della scena, il personaggio e l’attore coincidono.
La regia di Roberto Andò ha il neo di risultare, in alcuni momenti, statica e ripetitiva. Potrebbe essere una scelta voluta: far rivivere, in 80 minuti, l’estenuante attesa di Minetti. Ma rischia di sortire l’effetto inverso: distrarre. Rischio pericoloso, dato che si tratta di uno spettacolo in cui le parole hanno tutte un peso preciso e essenziale è l’intento di turbare “il mondo pretende di essere divertito e invece va turbato, turbato, turbato, ovunque oggi ci volgiamo, null’altro che un meccanismo per divertire. Occorre precipitare tutto nella catastrofe dell’arte.”
di Thomas Bernhard
traduzione Umberto Gandini
regia Roberto Andò
con Roberto Herlitzka
e con Verdiana Costanzo, Matteo Francomano, Nicolò Scarparo, Roberta Sferzi, Vincenzo Pasquariello
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Gianni Carluccio, Daniela Cernigliaro
suono Hubert Westkemper
foto Franco Lannino
orari spettacolo
prima ore 21.00
martedì e venerdì ore 21.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
durata 1 ora e 30′
produzione Teatro Biondo Palermo